La Solitudine: un luogo dell’anima di Nuoro

La Solitudine è un “topos” della geografia emozionale e letteraria di Nuoro. Una chiesetta alle pendici dell’Ortobene, una piazzetta, gli alberi, le valli, i monti lontani, il monumento di Maria Lai, la città sullo sfondo. Un luogo dove Nuoro finisce e incomincia, come una grande porta aperta su spazi diversi, che insieme fanno un mondo.  

La chiesa

La piccola chiesa della Madonna della Solitudine è il centro di questo microcosmo. Fu edificata nel Seicento e riprogettata da Giovanni Ciusa Romagna per accogliere, il 21 giungo del 1959,  le spoglie di Grazia Deledda traslate a Nuoro dal cimitero Verano di Roma. L’antica chiesetta è la casa di Maria Concezione, la protagonista del bellissimo romanzo deleddiano La chiesa della solitudine. Allora era “circondata davanti e da un lato da uno spiazzo rinforzato da un muricciolo che chiudeva una specie di orto”. Era l’orto coltivato da Ziu Linu, uomo giusto e premuroso, la lunga barba bianca del patriarca, amico e consigliere di Grazia Deledda. Per tanti anni visse, in povertà, nelle due stanzette addossate alla chiesa, le stesse di Maria Concezione. Allevava galline e maiali, pascolava “smunti branchi di pecore e capre”, come ha scritto Pasquale Mingioni, amato maestro in Nuoro e nel nuorese.

Le pareti interne della chiesa hanno il candore essenziale e sempre emozionante di un santuario campestre. La tomba dove riposa Grassiedda è una “cassapanca” in granito nero lucente. E’ bello immaginare che non sia sola, ma insieme ai personaggi dei suoi romanzi, eterni come lei, che percorrono il mondo “portando nelle loro misere bisacce fatte di pelo di capra i racconti di un’isola…” (Michele Pintore).

Un visitatore scatta delle fotografie al crocifisso dell’altare. Consegna lo smartphone al suo amico per farsi fare un ritratto accanto alla tomba. Sorride. Altre storie, altri mondi.  

La piazzetta

Il sole del pomeriggio illumina l’ingresso, lasciando in ombra il resto della chiesa. La luce sembra danzare sulle affascinanti figure ieratiche, di stile un po’ bizantino, incise sul portale bronzeo disegnato e scolpito da Eugenio Tavolara, che guardano “senza dir parola” (Mario Ciusa Romagna). E’ una porta di misteriosa e struggente bellezza, soglia tra sacro e profano, tra la chiesetta e il mondo.

Un merlo zampetta sul sagrato, poi vola via. Si sentono delle voci. Un cane abbaia, ma è poco più di un guaito, quasi avesse paura di disturbare.

La Solitudine è anche la piazzetta antistante la chiesa, in granito come la chiesa stessa e a questa congiunta da una bella scalinata. Ha una strana forma irregolare, come a imbuto. Il suo lato lungo confina con la strada, i cui rumori rompono di continuo la quiete del luogo. Dall’altro lato si restringe progressivamente fino al breve cammino in terra battuta che conduce al monumento di Maria Lai “Andando via” dedicato a Grazia Deledda. Qui, tra gli alti pini, “sa Solidae” si fa silenzio, meditazione, arte di abitare diversamente il mondo, la natura, l’altro. 

La Solitudine offre tanti posti a sedere: le vecchie panchine in ferro, i più recenti blocchi in pietra. Ma pochi vi si siedono. Del resto, un posto con quel nome non potrà mai essere un posto affollato. E’ una piccola piazza contemplativa, di raccoglimento, animata da presenze discrete, che aumentano nel tardo pomeriggio. E’ un po’ il “finis terrae” di Nuoro, il suo lembo di terra “sacra” e incantata, il suo promontorio luminoso immerso nel verde, all’inizio della salita al Monte e della discesa verso la valle di Marreri.

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