“Cuccuru NIgheddu”, con i suoi 955 metri di altezza, è la cima – “cima nera” – del Monte Ortobene di Nuoro. E’ abitata da una colonia di antenne televisive insediatasi con l’avvento delle telecomunicazioni e cresciuta nel tempo, concessione dopo concessione. A occhio, saranno oggi almeno una ventina di ripetitori, alti ponti di ferro verticali che traghettano le onde radio dall’aria agli apparecchi tv delle nostre case. I nuovi “zigantes” del Monte, visibili da ogni dove della città e dei suoi dintorni, anche da molto lontano, hanno dei nomi di un altro mondo o di un mondo altro, il cosiddetto mondo dell’informazione: Rai, Mediaset, El Towers, ecc.
Uno scenario metallico surreale, in mezzo ai lecci viventi, guardiani dello spazio eretti sulle antiche rocce. Pare di essere, scrive Carlo Forleoni, “sul set di un film di fantascienza, in uno speciale avamposto ai confini dell’universo”. Con quel mormorio sibilante, che a tratti sembra di udire nel vento, e il rumore più sordo proveniente dalle cabine. E lì vicino, nel bosco, proprio a due passi, qualcosa di molto più umano: la chiesa campestre di San Giovanni Gualberto, patrono dei Forestali d’Italia. Dall’altra parte, appena sotto le antenne, una casa.
Come sarà qui di notte, con la luna? Forse non proprio come ai tempi di Basilio e il porcaro, personaggi del romanzo di Grazia Deledda “Il vecchio della montagna”, che a “Cuccuru NIgheddu” giunsero verso la mezzanotte di un giorno di fine Ottocento. “La luna al suo ultimo quarto saliva sul cielo limpidissimo; le rocce nere sullo sfondo d’argento parevano il profilo di una misteriosa città”. E ora la città è lì, con le sue enormi antenne, la luna come una grande parabolica bianca.
L’ultima inquadratura del video mostra un piccola targa di legno posta ai piedi di una roccia con incisa la parola “Trilli”. Cosa vorrà dire? Un avvertimento? Che siano davvero i trilli dei ripetitori, i suoni emessi dalle loro radiazioni?