Sas Birghines: i nuoresi chiamano così le domus de janas del Monte Ortobene, il loro monte. “L’Ortobene è uno solo in tutto il mondo; è il nostro cuore, è l’anima nostra.” scrive Grazia Deledda. Le janas sono le fate, le birghines le vergini, le domus le case, sepolture neolitiche scavate nella dura roccia. Case degli umani tornati alla Madre Terra, case del divino e del fantastico. E “jana” richiama “janna”, che in sardo significa porta, porta tra il regno dei vivi e quello dei morti. L’Ortobene è uno solo anche per queste presenze misteriose, che lo abitano da sempre.
E’ bello avvicinarsi a questi luoghi con le parole di Gavino Pau, 1970, che ricordano un’escursione giovanile al Monte. Le domus se ne stanno appartate nel bosco, radure rocciose tra gli alberi non sempre facili da raggiungere. “Ripida e faticosa era la salita. Ci si doveva aiutare tenendosi per i rami. Qualcuno scivolava, bisognava riprenderlo e ricominciare.” scrive Pau. Poi, all’improvviso, le “rocce sacre” si mostrano alla vista, una vera e proprio apparizione, un’epifania, che toglie l’ultimo fiato rimasto. Sas Birghines arrivano così, senza annunciarsi, come raccolte in un silenzio primordiale. E ognuna con il suo nome: Borbore, Janna Bentosa, Maria Frunza.
Gavino Pau entra in una delle case, tocca le pietre, osserva, gli sembra di profanare un tempio. “La colonna grande al centro, i cunicoli alle pareti, i grossi sassi disposti come sedili o scale o altro; la volta a cielo, e tutto, tutto animato di un senso vivo di religiosità che solo il cuore dei fanciulli di Nuoro sa provare. Salii su uno di questi sassi e spinsi lo sguardo oltre il cunicolo: ero certo che avrei visto la bella vergine addormentata. Vidi solo buio e mi parve di sentire qualcosa o qualcuno. Rimasi nella convinzione che dentro c’era la vergine anima delle rocce.”
Buon Natale.