Maria Lai, verso la fine della sua lunga vita, realizzò “Andando via”, un monumento dedicato a Grazia Deledda e alle donne dei suoi romanzi. L’opera è collocata ai piedi del Monte Ortobene, in un luogo appartato, prossimo alla chiesa della Solitudine, che custodisce le spoglie della scrittrice. Da donna a donna, splendide donne della Sardegna, che in vita non si conobbero, sfiorandosi da lontano. Quando Grazia Deledda morì a Roma nel 1936, Maria Lai, nata a Ulassai nel 1919, aveva 17 anni. Fu lo spirito senza tempo dell’arte a farle incontrare, accumunate dai loro sguardi sul mondo, sui paesaggi, sulla vita. Anime sarde gemelle con gli stessi sogni.
I rumori della città giungono attutiti, silenziati. Si odono a tratti, in lontananza, le voci del piccolo gruppo di anziani seduti al sole sulle panchine di piazzetta della Solitudine. Qualcuno che scende o sale il sentiero 101, dalla Solitudine al Redentore e viceversa. Degli uccelli cinguettano tra gli alberi, le chiome maestose dei pini che si stagliano nel cielo blu. Il suono dei “campanones” di Santa Maria inonda l’aria al calare delle prime ombre della sera, che si allungano sul monumento. Il posto più bello di Nuoro, il migliore per l’installazione di Maria Lai, che lei stessa scelse.
Un grande portale in cemento, aperto come un’enorme cornice vuota e sovrastato da una misteriosa composizione astrale in ferro battuto, accoglie il visitatore. Poi gli undici piloni-menhir, anch’essi in cemento bianco, luminoso, sui quali si stagliano delle figure stilizzate in metallo nero. Le donne di Grazia Deledda, le capre tanto amate da Maria Lai. E le scritture scolpite, incomprensibili.
Andando via
Perché “Andando via”? Ce lo dice Maria Lai stessa, nel testo di presentazione del progetto di monumento o installazione, scrivendo che questo vuole essere un “invito a lasciare le ansie e spaziare in un’altra dimensione”. Andare via significa perdersi per tornare a se stessi in uno “spazio stretto e alto, che si anima e prende vita”. E’ l’abitare il mondo attraverso l’arte, come essere viventi eternamente in cammino. Un paesaggio di metafore, di segni e di sogni, che è come un villaggio, dove in ogni immagine “c’è l’uomo con tutte le sue domande e la sua ansia d’infinito”. Andando via per sostare nel silenzio, attingere alle profondità dell’essere, alle sue “pulsazioni”.
Sul duro cemento delle colonne sono incisi dei testi, geroglifici indecifrabili, che sembrano degli elettrocardiogrammi: pulsazioni, battiti, appunto. E’ come una partitura o, ancora meglio, un’ordito che ricorda le trame dell’arazzo sardo. E’ la pietra che si fa telaio dell’infinita tessitura della vita. Ecco che allora gli undici monoliti diventano tessuti intrecciati dalle mani di donne di 25 laboratori tessili della Sardegna. Nasce così, sulle tracce dell’opera di Maria Lai, il progetto omonimo ideato da Giuditta Sireus. Esso rende mobile e fruibile altrove un monumento nato inamovibile, “gettato” semplicemente sulla terra.
“Andando via” significa anche lasciare qualcosa dietro di sé, che altri raccolgono. Per me sono le immagini video che ho girato per quasi tutto il pomeriggio in questo luogo incantato. E me ne vado con la voglia di tornare.