Santu Càralu è il nome della piccola chiesa che si affaccia sull’omonima piazza San Carlo nel cuore dell’antico rione di San Pietro di Nuoro. E’ un luogo identitario, ricco di storia e di memorie, molto amato dai “sanpietrini” e da tutti i nuoresi. Di fronte alla seicentesca chiesetta, altrettanto piccola e umile, sorge la casa natale di Francesco Ciusa poco distante da quella di Grazia Deledda. I due si conoscevano, lei era più grande di lui di dodici anni. Il fanciullo Francesco si avvicinava di soppiatto alla casa della giovane scrittrice in erba e dalla finestra le rubava un libro. «Ella usciva fuori per rincorrere il fanciullo…: era impossibile prenderlo!», racconta Ciusa nelle sue “Pagine per una autobiografia” scritte, e poi mai terminate, intorno alla metà degli anni ’30. «Pur tuttavia dopo un po’ lo “catturava” ugualmente con le sue moine, e più ancora con della frutta secca». Sembra di vederli, aleggiare in quegli stretti vicoli, tra le basse case di pietra.
Il cuore pulsante del rione di Santu Càralu era la gradinata della chiesa, che soprattutto alla sera si riempiva di presenze disposte sulla breve rampa secondo un preciso ordine generazionale. «… i vecchi occupavano la parte bassa, i giovani sedevano al centro, nella parte superiore i fanciulli.» ricorda ancora Ciusa. Potevano essere forse in una ventina, l’uno stretto all’altro. Qui circolavano le notizie, si prendevano decisioni, ma soprattutto si esultava ascoltando le filastrocche irriverenti del mitico “poeta” popolare ziu Pompoi. E qui, nella piazzetta, il piccolo Francesco vedeva filare incantato l’adolescente Salvatora, che nel 1909 diventò “La filatrice”, una delle sue sculture in gesso più belle. “Fra le più belle in Italia, dopo Antonio Canova.” puntualizza Remo Branca. La piazzetta, questo piccolo grande luogo ricco di voci, sguardi, umori, di vite che si conoscevano.
Microcosmo
Si potrebbe dire che a Nuoro-San Pietro “tutte le strade portano a Santu Càralu”, dove confluiscono ben cinque vie. Ecco che allora quella piccola piazza con quella piccola chiesa diventavano microcosmo, circolarità tra spazio e relazioni comunitarie, tra il qui e l’altrove. Il microcosmo trascendeva la dimensione fisica del luogo per farsi modo di vivere, di pensare e di appartenere dotato di una propria etica (Mario Corda). Non sorprende che in un posto del genere, così denso di umanità, amassero incontrarsi scrittori, intellettuali e politici discendenti dall’Atene sarda. Bachisio Zizi, Gavino Pau, Gaetano Virdis, Mario Ciusa, Peppino Catte, Raffaello Marchi, vi si ritrovavano per ingaggiare lunghe e appassionate discussioni notturne, stando magari seduti sull’antica gradinata di ziu Pompoi.
Ma oggi la gradinata è deserta e la chiesa “è sempre chiusa”, come racconta accorata l’ex insegnante Giovanna Marras. Dietro la porta ben serrata sono ospitate le ceneri di Francesco Ciusa, insieme a una copia bronzea del suo capolavoro, La madre dell’ucciso, che “fa venire i brividi”. Dal crocicchio spuntano in continuazione delle automobili e qualche più raro passante a piedi o in bicicletta.
E quindi la chiesetta di Santu Càralu è sempre chiusa, come il museo comunale Tribu, dedicato al grande artista nuorese, inaccessibile da anni. Una paradossale, quanto assurda, “invisibilità” per un uomo, Francesco Ciusa, che ha speso l’intera vita nel cercare di mostrare e rendere visibile il mistero del mondo.